Ricordi e emozioni di un incontro

di Paolo Diani

Roma: 10 febbraio '07

Ho avuto la possibilità di incontrare il S. Padre Benedetto XVI, il dolce Cristo in terra, come lo chiamava S. Caterina de’ Ricci, nelle sue lettere.
Io, vestendo la divisa di Servo della Misericordia, lui, nella sua veste bianca, quale Servo dei Servi di Dio.
Io inserviente, quale ruolo come dipendente della Misericordia, Lui nella sua missione di condurre la barca di Pietro.
Quando Roberto Monciatti mi propose di entrare a far parte della delegazione che avrebbe salutato il  S. Padre, fui pervaso da una emozione particolare e molte cose mi affollavano la mente.
Ricordi di occasioni precedenti incontri con Giovanni Paolo II, quando ormai era stanco e malato, che ho rifiutato perché vedevo una sofferenza grande nell’uomo e la stanchezza di dovere restare a salutare la lunga fila di persone che volevano rendergli omaggio, incontrarlo, baciare il sacro anello.  Ricordi della sua visita a Prato. Delle esortazioni, forti, che aveva dato anche alle nostre Misericordie.
Di Benedetto XVI rivedevo la sua enciclica sul Dio della carità, che più volte ho riletto, per il messaggio che da questa traspariva e che è nuova linfa di impegno anche per il nostro essere Misericordia.
Tutte queste emozioni mi passavano per la testa mentre seduto insieme agli altri aspettavo il suo arrivo ed il suo messaggio.
Messaggio che mi aspettavo forte.  Una nuova consegna agli inizi di questo terzo millennio.
Così non è stato; ma il messaggio che è arrivato, spronava ancora una volta tutti noi a ripensare come rappresentanti “della più antica forma di volontariato organizzato sorta nel mondo”, per "onorare Dio con opere di misericordia verso il prossimo, nel più assoluto anonimato ed in totale gratuità”, al ritornare alle nostre origini. “Il rischio, in effetti, è che il volontariato possa ridursi a semplice attivismo.  Se invece resta vitale la carica spirituale, può comunicare agli altri ben di più che le cose materialmente necessarie: può offrire al prossimo in difficoltà lo sguardo di amore di cui ha bisogno”. Il Papa ci spronava a riscoprire non il professionalismo ma l’amore verso il fratello bisognoso, la nostra identità di “Fratelli della Misericordia”.
Allora ho ripensato al Papa della catechesi, che ci ricorda, non con grossi proclami, la strada da percorrere, chi siamo e quello che dovremmo restare pur diventando sempre anche professionalmente preparati.
Il timoniere della barca dell’apostolo e del Cristo ci ricordava che è servendo che si conosce il premio degli eletti e che nella nostra vita bisogna essere misericordiosi per ottenere misericordia.
Da buon servo inutile (inserviente) della Misericordia mi accingevo così a rendere omaggio al S. Padre che avrei voluto vedere passare a stringere le molte mani, ad incontrare i molti confratelli che si aspettavano di vederlo passare nel mezzo dell’aula Paolo VI  e mentre mi avvicinavo a Lui vedevo i suoi occhi stanchi e la sua persona mi è apparsa stanca.
Mi ha ricordato, parlando, i gravi problemi di chi guida una situazione difficile, con una domanda che mi ha fatto riflettere e che non vorrei ricordare come aneddoto di un incontro con il dolce Cristo in terra.
Ho riflettuto sulle parole che aveva appena detto e che erano il suo messaggio per il nostro Movimento  e da servo inutile ho pensato con le sue parole:
 “Alla fine della vita, amava ripetere san Giovanni della Croce, saremo giudicati sull’amore. Quanto è necessario che anche oggi, anzi specialmente in questa nostra epoca segnata da tante sfide umane e spirituali, i cristiani proclamino con le opere l’amore misericordioso di Dio! Ogni battezzato dovrebbe essere un "vangelo vissuto". E allora ho ripetuto dentro di me il saluto di sempre: Iddio te ne renda merito Padre Santo perché ancora una volta ci hai dato una consegna: Riscoprite i vostri valori, ritornate nella vostra identità.
 

 
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